Questo articolo è dedicato alle tasse che si pagano sui profitti di trading online.
Il trading online è un’attività di stampo economico che genera per i trader una precisa imposizione fiscale.
Con l’arrivo dei controlli armonizzati a livello europeo, molti trader che hanno trascurato l’aspetto fiscale ora si trovano con delle cartelle salate da pagare per gli arretrati sulle tasse. Per evitare che questo possa succedere anche a te, abbiamo creato una guida completa alla fiscalità per trader.
All’interno dell’articolo di oggi scoprirai esattamente:
- Cosa devi dichiarare riguardo alle tue operazioni di trading
- Quali imposte devi pagare e come puoi farlo
- L’imposizione fiscale dei principali strumenti finanziari negoziati dagli investitori (CFD, azioni, BTP, Forex, ecc.)
- I rischi e le sanzioni per chi sbaglia la dichiarazione o la omette appositamente
- Le tempistiche entro cui bisogna dichiarare e versare le imposte dovute sulle operazioni di trading
Vedremo anche quali sono i broker più efficienti, come eToro, che semplificano la vita ai loro clienti con una serie di automatismi e report per concludere più facilmente le dichiarazioni dei redditi.
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Tasse trading – Riepilogo:
🧮 Su cosa si calcolano: | Plusvalenze di trading |
💸 A quanto ammontano: | 26% |
👨💼 Tipi di regime fiscale: | Sostitutivo o dichiarativo |
🏆 Migliori broker con rendicontazione: | Pepperstone / XTB / eToro |
❓ Tasse su minusvalenze: | Non si calcolano |
Calcolo tasse trading: a quanto ammontano?
Il tema della tassazione sulle operazioni di investimento è stato riformato quasi integralmente dal 1 gennaio 2019, con una serie di semplificazioni che permettono di calcolare più facilmente le imposte dovute.
Tutti i profitti, cioè le plusvalenze, sono attualmente tassate al 26%. Questo significa, ad esempio, che viene applicata questa aliquota in tutti i seguenti casi:
- Quando si vende un’azione ad un prezzo più alto di quello a cui la si è acquistata (26% sulla differenza tra prezzo di vendita e acquisto)
- La tassazione sulle plusvalenze prodotte con gli strumenti finanziari derivati (26% sulla differenza tra prezzo di vendita e acquisto)
- In caso venga ricevuto un dividendo (26% sul valore del dividendo)
- Quando si riceve il pagamento delle cedole di un’obbligazione (26% del valore della cedola)
- In caso di plusvalenza sulle obbligazioni (26% della differenza tra valore di rimborso e prezzo di acquisto)
- Quando si genera una plusvalenza speculativa da qualunque strumento finanziario (cambi tra valute, materie prime, ecc.)
Da una parte questo ha portato a delle semplificazioni importanti, perché ora tutto viene tassato nella stessa misura. Dall’altra parte, portare al 26% l’aliquota su buona parte di questi strumenti ha significato aumentarla rispetto alla tassazione precedente.
Gli unici strumenti su cui esiste un’aliquota ridotta sono i titoli di debito del governo italiano (BTP, CTZ, Bot, CCT), quelli di istituzioni sovranazionali (World Bank, Unione Europea, ecc.) e quelli di governi white list. In questo caso si è soggetti a un’imposizione fiscale del 12,5%.
Esistono poi delle agevolazioni fiscali anche per chi decide di investire in Startup.
Indice
Tasse trading: le minusvalenze vengono tassate?
Fino a ora abbiamo parlato di cosa succede quando guadagni. Che sia l’incasso di una cedola, una plusvalenza o un dividendo, ogni volta che le tue attività da investitore hanno un ritorno positivo devi pagare delle tasse.
Sorge spontaneo chiedersi che cosa succede, invece, quando ottieni una minusvalenza. Questo succede ad esempio quando vendi un’azione a un prezzo più basso rispetto al valore di acquisto, oppure quando un’obbligazione ti rimborsa meno di quanto l’hai pagata.
In questi casi:
- Non devi pagare nessuna imposta sulla tua operazione conclusa in perdita
- Puoi portare la minusvalenza in deduzione alle plusvalenze, quindi “compensando” le tasse che devi pagare sui profitti
Facciamo subito un esempio pratico.
Immaginiamo un caso molto semplice, in cui tu detieni due azioni. Le vendi nello stesso anno, ottenendo questi risultati: la prima azione genera una plusvalenza di 3.000€, mentre la seconda ti porta una perdita di 1.000€ (minusvalenza). In questo caso, tu sei tenuto a pagare le tasse solo sui profitti netti (2.000€), applicando l’aliquota del 26% come abbiamo visto in precedenza.
Chiaramente questi calcoli necessitano di essere supportati da una prova e da una specifica indicazione nel modulo 730. Più in basso nel corso della guida passeremo anche a questa parte pratica, ma ora è importante concludere tutta la spiegazione generale.
Tasse trading: dividendi esteri e doppia imposizione
Il caso dei dividendi è sempre un pochino complesso, perché può capitare che questi vengano tassati due volte. Molti paesi, infatti, richiedono che ogni dividendo sia tassato alla fonte (cioè dall’azienda che lo emette) prima di essere eventualmente distribuito all’estero. Ad esempio, le azioni americane come Tesla sono soggette a una ritenuta alla fonte del 15%.
Tesla e Amazon nello specifico non stanno ancora distribuendo dividendi, ma è irrilevante. La cosa importante da ricordare è che qualunque dividendo ricevuto dagli Stati Uniti viene tassato al 15% direttamente negli USA; una volta che tu lo ricevi in Italia, poi, sei nuovamente tenuto a pagare il 26% della somma che hai ottenuto.
Succede con quasi tutte le nazioni del mondo, non soltanto con gli Stati Uniti. Questa è ovviamente una condizione svantaggiosa per l’investitore, che limita la circolazione di capitali a livello internazionale. Per questo motivo, normalmente gli stati concludono gli “Accordi contro la doppia imposizione“.
In questi accordi viene spiegato se e come gli investitori possono evitare la doppia tassazione dei loro dividendi e come possono fare per richiedere il rimborso delle ritenute alla fonte. L’Italia ha concluso accordi sulla doppia imposizione con la grande maggioranza delle nazioni sviluppate, per cui compilando i dovuti moduli dovresti riuscire ad aggirare questo problema.
Ricordati, però, che la teoria e la pratica sono cose molto diverse. Spesso per riuscire a evitare la doppia imposizione devi spedire una raccomandata nel paese dove è stata operata la ritenuta alla fonte, compilare un modulo ad hoc, andare all’Agenzia delle Entrate e fornire una serie di documenti. Questo è sconveniente a livello economico e costoso in termini di tempo, per cui nella pratica ne vale la pena solo quando la somma che devi recuperare è importante.
Tasse trading e dichiarazione dei redditi
Per dichiarare e pagare le imposte relative alle tue operazioni di trading hai due strade:
- Usare un broker che utilizzi il regime sostitutivo. In questo caso la piattaforma tratterrà direttamente le imposte dai tuoi proventi e le verserà all’erario per conto tuo, sollevandoti da qualunque responsabilità;
- Utilizzare il regime dichiarativo, in cui invece sei tu a versare le imposte indicandole nella dichiarazione dei redditi
Ognuno di questi due modelli ha i suoi vantaggi e i suoi svantaggi. Analizziamoli singolarmente, così puoi capire quale faccia di più al caso tuo.
Il regime sostitutivo (sostituto d’imposta)
I broker che hanno sede in Italia possono operare come sostituto d’imposta. In questo caso, la piattaforma trattiene alla fonte tutte le imposte che devi sulle operazioni di trading.
Ipotizziamo, ad esempio, che tu compri un’azione a 1.000€ e la vendi a 1.100€. Hai realizzato una plusvalenza di 100€, su cui devi il 26% di imposte. In questo caso la piattaforma tratterrà l’imposta, cioè 26€, e la verserà all’erario per conto tuo. Quindi al momento della vendita, anziché accreditarti 1.100€ sul conto di trading, ti accrediterà soltanto 1.074€.
Questo sistema è sicuramente il più semplice e intuitivo, perché ti evita di dover conteggiare manualmente tutte le tue operazioni. Dall’altra parte, però, è anche sconveniente per altrettanti aspetti.
Tanto per cominciare, ti costringe a rinunciare subito al tuo capitale. Normalmente le tasse si pagano l’anno dopo rispetto a quando nasce la plusvalenza. Questo significa che se usi il regime dichiarativo al posto del sostituto d’imposta, hai un anno per reinvestire le tasse che devi pagare e farle fruttare prima di darle allo Stato.
Un altro svantaggio riguarda la scelta delle piattaforme che puoi utilizzare. Le piattaforme con sede in Italia sono collegate alle banche tradizionali o alle Poste Italiane, che hanno commissioni folli sulla compravendita di strumenti finanziari. Questo significa che prima ancora delle tasse, saranno le commissioni a divorare il tuo capitale.
I broker davvero convenienti sul fronte dei costi, come eToro, si guardano bene dall’avere una sede e pagare le tasse in Italia. I loro clienti, dunque, non possono usare il sistema del sostituto d’imposta ma possono approfittare di costi decisamente più bassi su tutte le transazioni.
Il regime dichiarativo
Nel regime dichiarativo, il broker fornisce al cliente un resoconto completo delle sue operazioni. All’interno del resoconto sono conteggiate le plusvalenze, le minusvalenze, i movimenti del saldo e tutte le operazioni. Questo permette al trader di avere tutto ciò che gli serve per compilare il suo modulo 730.
Se hai un commercialista che si occupa della tua dichiarazione dei redditi, non devi fare altro che fornirgli il documento che il broker ti prepara. Se invece ti occupi tu stesso del tuo modello unico, ecco alcune indicazioni su come usarlo:
- I ricavi ottenuti dal trading vanno inseriti nel Quadro RT, riguardante le plusvalenze finanziarie
- All’interno di questa sezione, al rigo 21 dovrai segnalare il totale dei ricavi ottenuti con la vendita di asset
- Nel rigo 22 segnalerai quali sono stati i prezzi di acquisto di quegli stessi strumenti
- Nel rigo 23 va segnata la differenza tra ricavi e prezzi di acquisto
- Se nel rigo 23 c’è una plusvalenza, va riportata uguale nel rigo 26
- Se nel rigo 23 c’è una minusvalenza, va riportata uguale nel rigo 25
- Nel rigo 27 inserirai l’imposta sostitutiva, cioè il 26% della plusvalenza o zero se hai avuto più minusvalenze che plusvalenze
Migliori broker con regime dichiarativo
Tra i broker più affidabili che operano in regime dichiarativo, spiccano Pepperstone, XTB e eToro. Questi intermediari offrono servizi completi e trasparenti, ideali per i trader che desiderano gestire autonomamente la propria dichiarazione dei redditi.
Pepperstone
Pepperstone è un broker australiano regolamentato, noto per la sua esecuzione rapida e gli spread competitivi. Offre trading su diverse asset class, incluse le criptovalute, tramite le piattaforme MetaTrader e cTrader.
Pepperstone fornisce una rendicontazione dettagliata delle attività di trading, facilitando la compilazione della dichiarazione dei redditi. Il broker offre anche materiali formativi e un conto demo per affinare le proprie strategie.
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XTB
XTB è un broker quotato in borsa con licenza CySEC. La sua piattaforma proprietaria xStation 5 permette di operare su vari mercati, incluse le criptovalute, senza commissioni.
XTB si distingue per il suo servizio clienti in italiano e per l’offerta formativa gratuita, che include webinar e corsi strutturati. A fine anno, XTB fornisce ai clienti una documentazione fiscale completa e facilmente accessibile.
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eToro
eToro è uno dei broker più popolari, con oltre 25 milioni di utenti. Offre sia l’acquisto diretto di asset che il trading tramite CFD. eToro è rinomato per il suo Copy Trading, che permette di replicare le operazioni di trader esperti.
Il broker fornisce una rendicontazione dettagliata delle attività di trading, accessibile direttamente dal profilo utente. L’assistenza clienti in italiano è disponibile 5 giorni su 7 per supportare gli utenti anche nelle questioni fiscali.
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Tutti e tre questi broker offrono strumenti per semplificare la gestione fiscale, rendendo più agevole l’operatività in regime dichiarativo. La scelta tra di essi dipenderà dalle specifiche esigenze del trader, come la gamma di strumenti offerti, le piattaforme disponibili e le funzionalità aggiuntive.
Tasse trading: IVAFE con broker esteri
Oltre alle imposte sulle plusvalenze, c’è un’imposta che lo Stato esige sul valore di tutti gli strumenti finanziari che possiedi all’estero. Si chiama Ivafe (Imposta sul Valore delle Attività Finanziarie detenute all’Estero) ed equivale allo 0,2% di tutti gli strumenti detenuti.
Il calcolo di questa imposta è piuttosto complesso. Si fa in questo modo:
- Al 31 dicembre, alla chiusura dei mercati, tutto il patrimonio che detieni all’estero in strumenti finanziari è tassato allo 0,2%
- Se al 31 dicembre risultano vendute, devi conteggiare il valore che avevano al momento della vendita
- In caso tu abbia pagato una tassa patrimoniale nello Stato dove detieni gli strumenti, puoi portarla in detrazione dall’Ivafe
La Tobin Tax
In Italia è stata introdotta dal 1 marzo 2013. Si tratta di una tassa da pagare sul saldo positivo, alla fine di ogni giornata di negoziazioni, quando si investe in azioni emesse da società italiane. L’aliquota è pari allo 0,10% della plusvalenza a fine giornata e normalmente viene prelevata direttamente dal broker.
Sui CFD, che vengono negoziati spesso nel trading online, questa tassa non è dovuta. Nemmeno se si fa trading sui CFD di azioni italiane.
Cosa si rischia se non si pagano le imposte sul trading?
Non pagare le tasse di cui abbiamo appena parlato, quando queste sono dovute, equivale a evasione fiscale. In Italia la normativa distingue diversi tipi di evasione, ciascuno con le sue conseguenze più o meno gravi:
- Per piccole somme evase con disattenzione ci si limita alla sanzione amministrativa, che varia dal 1% al 30% dell’importo non versato
- Se non presenti del tutto la tua dichiarazione dei redditi, rischi di pagare dal 120% al 240% delle somme evase
- Se la tua dichiarazione è infedele, quindi la presenti ma con gravi disconformità, rischi una sanzione dal 100% al 200%
I casi più gravi si configurano come reato, cioè rientrano nella sfera penale. Un caso è particolarmente grave: la frode fiscale, in caso tu produca documenti falsi per abbassare artificialmente le tue imposte dovute. In questo caso si rischia anche la reclusione da 1 a 3 anni, se l’imposta evasa supera 100.000€ o il 10% dei redditi.
Il nostro consiglio, specialmente quando si usa il regime dichiarativo, è quello di scegliere un broker serio come XTB. Gli enti seri, cioè regolamentati in Europa e autorizzati Consob, sono sempre attentissimi a inviare ai loro clienti dei report attendibili al 100%.
Come pagare meno tasse nel trading online
Ci sono diverse strade che puoi utilizzare per pagare meno imposte nel trading online. La prima, più semplice, è quella di ricordarti di conteggiare tutte le tue minusvalenze per abbassare la quantità di profitti imponibili. Sempre senza troppo sforzo, puoi provare ad approfittare delle misure come il superbonus 110% o il bonus infissi per apportare miglioramenti alla tua abitazione e allo stesso tempo diminuire la base imponibile.
Tutto ciò, però, rappresenta poco più di un palliativo. La realtà è che i trader di professione si limitano ad abbandonare l’Italia, trasferendo la loro residenza all’estero per pagare le tasse dove sono più convenienti. Paesi come Malta, Cipro e Dubai sono decisamente più attraenti, in quanto l’imposizione fiscale sui redditi da attività di investimento è pressoché zero.
Anche se per un trader amatoriale è una strada poco percorribile, per chi fa trading di professione è quasi un rito di passaggio. Spesso si sceglie un broker o un altro per risparmiare lo 0,1% di commissioni, quando cambiando Paese si può risparmiare da subito il 26% su tutte le plusvalenze prodotte.
Questa scelta è anche completamente legale, posto che si risieda effettivamente nel paese dove si è dichiarata la residenza e che questa non sia una mossa fittizia fatta con il solo fine di eludere il fisco.
FAQ
Attualmente in Italia ci sono tre imposte sulle operazioni finanziarie: l’aliquota sostitutiva sulle plusvalenze, la Tobin Tax e l’Ivafe.
No, gli strumenti finanziari derivati sono esclusi dalla Tobin Tax. Quest’ultima riguarda solo le azioni vere e proprie emesse da società residenti in Italia.
Assolutamente sì. La legge prevede che le plusvalenze vadano conteggiate e indicate nel modello 730 con indicazione dell’imposta dovuta.
La risposta più semplice è ricordarsi di portare in deduzione tutte le minusvalenze ottenute. Per riuscire a eliminare completamente le imposte, però, l’unica soluzione è trasferirsi in un’altra nazione in cui le rendite da investimenti non vengono tassate.